Issue 9
A. Risitano et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 9 (2009) 113 - 124; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.09.12 119 Qualitativamente si può osservare che man mano che il carico aumenta e il numero di cristalli plasticizzati aumenta, l’andamento della temperatura del materiale si discosta dall’andamento lineare per due motivi: diminuisce il volume di materiale interessato dall’effetto termoelastico (che si raffredda) ed aumenta il volume di materiale plasticizzato che si riscalda. Se ciascun cristallo avesse un comportamento perfettamente plastico, raggiunta il valore di tensione σ p, la quantità di calore dQ p fornito, sarebbe, come prima detto, proporzionale a (σ p d ε p ). Se si fosse in grado di valutare il primo insorgere del calore dQ p per effetto del carico medio esterno sul provino si individuerebbe la tensione di prima microplasticizzazione e, di conseguenza, quello che convenzionalmente è definito limite di fatica del materiale per R=-1. Infatti, sollecitando il provino con carichi oscillanti e corrispondenti tensioni superiori a tale valore, dopo un certo tempo, si raggiungerebbe la rottura. Se invece il provino fosse sollecitato con valori inferiori a tale limite non si avrebbe alcuna rottura ed il materiale avrebbe durata infinita. L’osservazione precedente mostra che il limite di fatica si può individuare se si riesce a legare il valore di tensione media con la comparsa della prima plasticizzazione che, come detto prima, comporta cedimento di calore al materiale e di conseguenza variazione della temperatura sulla superficie esterna del provino. Dalle osservazioni precedenti, si deduce che se si opera con una prova statica e si segue la variazione di temperatura sulla superficie esterna della superficie del provino, è possibile valutare l’intorno in cui finisce di valere la linearità fra tensioni e temperature e corrispondentemente, quindi, l’intorno della tensione media σ 0 per la quale è iniziata la fase di prima plasticizzazione (zona II). Al valore della “temperatura limite” T 0 , coincidente con la fine della fase termoelastica, corrisponde quel valore σ 0 che è stato la causa di inizio di microplasticizzazioni. Ed ancora, in un diagramma “tensioni vs variazioni di temperatura”, tale valore di tensione media σ 0 è, quindi, quello che ha prodotto una microplasticizzazione per la quale si è generata una quantità di calore che, in controtendenza, ha fatto variare la pendenza nella curva “sforzi vs variazioni di temperatura” ( σ m - ΔT). Man mano che il carico cresce, le microplasticizzazioni aumentano (zona III del diagramma di Fig. 3) e la pendenza della curva varia con continuità fino a quando si raggiunge il valore del carico di snervamento. Superata la fase di snervamento, con il progredire della plasticizzazione, le quantità di calore in gioco sono tali da mascherare completamente l’effetto termoelastico dei cristalli ancora non plasticamente deformati e nell’ultima fase, per gli acciai, al contrario di quanto avviene nella zona I, si ha il riscaldamento di tutto il materiale con valori di temperatura superficiale positiva (zona IV della Fig. 3) . Nel diagramma qualitativo di Fig. 3 viene mostrato quello di cui si è precedentemente detto per un materiale impiegato in costruzioni meccaniche (ad esempio acciaio) sollecitato a trazione. Assieme al classico andamento “tensioni vs deformazione”, nello stesso diagramma, viene riportato il terzo parametro, ovvero, la variazione di temperatura media ΔT di una parte molto limitata della superficie del provino, quella più prossima alle prime variazioni di temperatura rispetto al valore iniziale T a (temperatura ambiente). In definitiva, per tensioni medie fino al valore σ 0 , il legame tensioni temperature è di tipo lineare in coerenza con il comportamento termoelastico del materiale. Per valori superiori a σ 0 ci si discosta dalla linearità e l’andamento della temperatura della zona di riferimento cambia pendenza in quanto non vale per tutti i punti del provino la legge di Kelvin. Tale fenomeno si esaspera man mano che il carico cresce fino a raggiungere, nell’ultima fase della prova, valori della temperatura superficiale positivi (ultima parte della curva). Si può definire “temperatura limite” T 0 quel valore di temperatura corrispondente alla fine della fase termoelastica, ovvero con riferimento alla Fig. 3 , quella temperatura T 0 corrispondente al cambiamento di pendenza. A tale valore di “temperatura limite” corrisponde, come più volte detto, un valore di tensione media (macroscopico) coincidente con il valore della classica resistenza all’oscillazione σ 0 del materiale. Le variazioni di temperatura durante l’esecuzione di prove statiche su acciai, secondo gli andamenti prima descritti sono state riscontrate e riportate da A. Risitano ed Altri in [5] . Gli Autori operando con gli giusti accorgimenti (ambienti controllati sia dal punto di vista termico che luminoso), con sensori ad alta precisione (sensibilità di almeno 0,05 C° per limitare le strumentali oscillazioni di temperatura durante il rilievo) nonché a velocità di prova (controllo di carico) adeguate (fra i 60 e i 30 N/s) hanno, per differenti materiali, potuto verificare che il valore di tensione σ 0 corrispondente a T 0 coincideva con valori del limite di fatica rilevati con prove tradizionali (Wohler) o con metodo termografico [2]. Hanno anche osservato che dalla misura della temperatura superficiale in prossimità ad intagli e in zone di stabilità di tensione (a distanza dagli intagli) è possibile risalire ai valori di effetto di intaglio caratteristici di quel dato provino. Rimandando ad altra sede i risultati prima accennati, in questo caso ci si limita a riportare, a titolo di esempio, qualche dato relativo ad una applicazione su provini forati per cui il limite di fatica era stato ottenuto con altri metodi e per cui l’obbiettivo era quello di analizzare l’influenza della lavorazione con cui veniva ottenuto il foro.
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