Issue 9

A. Risitano et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 9 (2009) 113 - 124; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.09.12 117 - Zona III, la tensione media è tale che in alcuni cristalli esistono deformazioni elastiche accompagnate da deformazioni plastiche preponderanti su quelle elastiche e tali che alla cessazione del carico i cristalli deformati elasticamente non hanno energia per riportare il provino nelle condizioni iniziali. In tali condizioni è rilevabile un cambiamento nella forma del provino (comparsa di deformazioni permanenti). - Zona IV, la tensione media ha raggiunto valori per cui la deformazione plastica è tale che la maggior parte dei cristalli risulta deformata plasticamente. I cristalli ancora deformati elasticamente risultano sempre di meno col progredire del carico e alla cessazione del carico le deformazioni diventano sempre più vistose.   Figura 3 : Curva Ingegneristica con l’individuazione qualitativa delle quattro zone caratteristiche. Il valore della tensione di snervamento può essere assunto come quello di transizione fra la fase II e la fase III. Nei metalli, anche in quelli apparentemente perfetti, spesso la prima zona è molto limitata. Le tensioni interne fra le regioni deformate elasticamente e plasticamente danno origine nei metalli policristalli ad un effetto “dopo elastico”. A tale effetto risulta collegato il fenomeno della isteresi elastica. Se il carico è variabile (ad esempio oscillante) e siamo in presenza di fatica ad alto numero di cicli, si può avere un cambiamento della struttura interna anche se la tensione applicata appartiene al campo II. E’ infatti possibile che il cedimento incominci in un punto per scorrimento e proceda con successiva rottura di un cristallo. In tali condizioni, alla giunzione di certi legami atomici si verificheranno stati di tensione severi e con il progredire del numero di oscillazioni il processo continua con il superamento delle forze di coesione delle giunzioni. L’effetto cumulativo della rottura di giunzioni atomiche si incrementa dopo il primo apparire di discontinuità nella struttura passando dallo stato di microcricca, alla rottura per fatica (visibile). Per quanto detto prima, se fossimo in presenza di un difetto localizzato, in una prova di trazione classica, avremmo lo stesso risultato globale (la stessa caratteristica macroscopica sforzi-deformazioni). Se però riducessimo via via le dimensioni del provino evidenziando il difetto rispetto alla area utile del provino stesso, fino ad arrivare, al limite, ad un provino che contiene un solo cristallo “difettato”, troveremmo un andamento qualitativamente dello stesso tipo, ma con valori del limite elastico (nel senso della classica definizione) diverso. In altre parole, il processo di plasticizzazione nel punto avverrebbe per un valore di limite elastico (locale) diverso del limite elastico macroscopio (globale) inteso, quest’ultimo, come tensione nominale media dovuta al carico totale esterno capace di produrre deformazioni permanenti dello 0.2%. Il valore della tensione media (nominale) per cui a livello locale si manifesta la prima plasticizzazione (micro- plasticizzazione) è quello che poi in sollecitazioni dinamiche porta alla rottura del pezzo. Quindi si può definire come limite di fatica ad alto numero di cicli quella tensione limite σ m =σ 0 . (della zona II) per cui in nessun punto del materiale si manifestano microplasticizzazioni locali. È verosimile pensare che il limite di fatica definito come prima si riferisca alla resistenza all’oscillazione σ 0 (rapporto di carico R = –1) .

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