Issue 9

A. Risitano et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 9 (2009) 113 - 124; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.09.12 115 Applicando il primo principio della termodinamica al sistema considerato chiuso, si può affermare che l’energia interna è data dalla differenza tra il lavoro fornito al sistema e il calore ceduto all’ambiente circostante. Nel nostro caso il lavoro W fornito al sistema è lavoro meccanico dato dalla somma di una componente elastica W e e di una componente plastica W p . Figura 1 : Andamento qualitativo della temperatura in un punto della superficie del provino durante una prova di fatica. Le due componenti però contribuiscono termicamente a livelli differenti. Solitamente infatti le zone affette da plasticità vengono definite zone calde, e viceversa quelle soggette alla sola deformazione plastica sono definite fredde. In particolare il contributo della componente elastica è regolato dalla legge termoelastica che è inferiore a quello plastico. L’equilibrio globale tra l’energia meccanica fornita in termini elastici e plastici e il calore dissipato è dato dall ’Eq. (1) di bilancio del calore: (1) dove K è la conduttività termica,  la densità, c e il calore specifico, T la temperatura  è la frazione di potenza termica rilasciata sulla potenza meccanica trascurando la componente termoplastica,  e  sono le costanti di Lamè,  il coefficiente di dilatazione termica. La componente plastica del lavoro meccanico W p coincide con l’area del ciclo, e può essere calcolata con la relazione (2) : (2) p W  è quindi pari al prodotto della componente deviatorica dello sforzo per l’incremento di deformazione plastica valutato su un ciclo. Per i materiali comunemente adottati in campo meccanico, (acciaio e ghisa,)  (circa 0,9) si può considerare costante rispetto alle sollecitazioni ed alle deformazioni. Per le normali frequenze di prova, il sistema può essere considerato adiabatico, la componente termoelastica può essere trascurata; vale dunque la relazione (3): (3) La temperatura raggiunta superficialmente, è dunque, sotto le condizioni suddette, direttamente correlabile all’energia meccanica di deformazione. Nel caso di prove di fatica, quindi, l’energia liberata come calore che si va a mettere in relazione con gli altri due parametri (tensioni e tempo) diventa praticamente quella che si genera per effetto di micro-plasticizzazioni, ovvero, quella che si sviluppa allorché inizia il processo di cedimento del materiale essendo, in confronto a questa, molto piccola quella che si produce per effetto del classico fenomeno dello smorzamento interno (elastico) specialmente alle normali (minore di 50 Hz) frequenze di prova. Sperimentalmente si osserva che operando con sollecitazione oscillante, l’incremento di temperatura sulla superficie esterna del provino, rilevabile con sensori all’infrarosso termico, si manifesta allorquando la sollecitazione applicata al materiale supera in un punto il limite di fatica ovvero allorquando, in quel punto, la tensione è tale da produrre le prime micro-plasticizzazioni (interne o superficiali) che con il progredire del tempo (numero di cicli), raggiunto il valore di energia necessario alla rottura E l per quel dato componente, conducono al cedimento fisico dello stesso. Si evince che quando la sollecitazione applicata è tale da produrre in un punto del materiale plasticizzazione locale, inizia il fenomeno di progressivo cedimento del materiale che nel tempo porterà alla rottura. Il valore di energia E l “Energia limite” costituisce il limite energetico per quanto riguarda la resistenza a sollecitazioni di fatica. Il raggiungimento di tale 2 0 (3 2 ) p e ij ij e K T T c T bs e l m a e r +  + + =    0 T p p W d s e = ò E W c T b r =  

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