Issue 7

A. Carpinteri et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 7 (2009) 17- 28; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.07.02 19 Tale espressione fu assunta da alcune normative dell’epoca, come ad esempio il Model Code 78, per risolvere il problema della valutazione delle rotazioni plastiche ammissibili ai fini progettuali. Un secondo importante contributo fu dato dalla ricerca condotta agli inizi degli anni ’80 presso l’Università di Stoccarda dal gruppo coordinato dal Prof. Eligehausen [7]. In tale occasione fu sviluppato un modello analitico per l’analisi delle cerniere plastiche considerando l’esistenza di due tipi di collasso: lato acciaio e lato calcestruzzo. Le curve proposte sono confrontate in Fig. 2 con la legge espressa dall’Eq. (1). Due aspetti fondamentali devono essere evidenziati: la presenza di un ramo crescente per piccoli valori di x / d dovuto alla rottura lato acciaio e la presenza di due curve relative ad acciai aventi caratteristiche di duttilità differenti. Tali curve furono in seguito adottate dal Model Code 90. Successivamente altri modelli furono sviluppati, enfatizzando uno o più particolari aspetti del problema [8-10]. La più recente indicazione normativa è quella presente nell’ultima versione dell ’Eurocodice 2 Parte 2 [11] , riportata in Fig. 3. Le linee tratteggiate si riferiscono ad acciai ad alta duttilità (Classe C), mentre quelle a tratto pieno si riferiscono ad acciai a normale duttilità (Classe B). Dall’analisi delle indicazioni delle normative si può evidenziare come l’effetto della scala sulla capacità rotazionale sia stato trascurato, sebbene numerose campagne sperimentali abbiano evidenziato una forte influenza di tale fenomeno [12-15]. Figura 2 : Evoluzione delle formule di progetto per il calcolo della rotazione plastica ammissibile. Figura 3 : Legami tra rotazione plastica ammissibile e profondità relativa dell’asse neutro in base all’Eurocodice 2. Come intuito da Hillerborg fin dal 1990 [3], la causa degli effetti di scala, anche per quanto riguarda la capacità di rotazione, risiede nella localizzazione delle deformazioni, sia in trazione che in compressione. Hillerborg fu il primo ad introdurre tale concetto, decisamente più intuitivo nel caso della trazione, anche in compressione. In base al suo approccio, una volta raggiunta la resistenza a compressione, si verifica una localizzazione delle deformazioni all’interno di una zona della trave avente una lunghezza pari alla profondità della zona compressa. Bažant [16] ha proposto un modello

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