Issue 2

M. Guagliano, Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) 25-35 27 (3) in cui d Ψ è la distanza tra i piani cristallini oggetto della diffrazione quando l’angolo di incidenza rispetto alla su- perficie è Ψ , mentre d o è la distanza interplanare del ma- teriale indeformato (privo di sforzi residui). Se si vuole conoscere il valore dello sforzo σ φ è necessario ripetere la misura cambiando l’angolo di incidenza Ψ . La teoria dell’elasticità insegna che la deformazione ε φΨ lungo una direzione inclinata di un angolo Ψ rispetto alla superficie è legata agli sforzi principali σ 1 e σ 2 dalla seguente equa- zione: (4) Con semplici trasformazioni che considerano il legame tra gli sforzi principali e σ φ [1] si arriva a scrivere (5) (E è il modulo elastico del materiale, υ il coefficiente di Poisson). E’ immediato dedurre che sussiste una relazione lineare tra ε φΨ e sen 2 Ψ e che σ φ è la pendenza della retta divisa per (1+ υ )/E. Ciò significa che è possibile determinare il valore di σ φ eseguendo più misure con differenti angoli di incidenza Ψ . Questa è la procedura più comunemente e- seguita per la misura degli sforzi residui con la XRD. Nella applicazioni pratiche, la relazione tra ε φΨ e sen 2 Ψ non è perfettamente lineare ed è necessario eseguire la regressione lineare dei risultati delle misure (in altri casi la relazione è sistematicamente non lineare, ellittica, ma ciò è dovuto alla presenza di un elevato gradiente degli sforzi nel sottile strato di materiale interessato dalla misu- ra). Un altro aspetto da considerare è che, data la natura policristallina dei materiali metallici, si avrà diffrazione più o meno marcata in un range angolare attorno il picco di diffrazione come illustrato in Fig. 3. Ciò richiede che il picco debba essere elaborato utiliz- zando qualche funzione matematica (gaussiana, parabola, cross correlation…) per trovare la massima intensità di diffrazione e la sua posizione angolare θ . Analizzando la larghezza del picco è possibile avere informazioni relati- ve alla deformazione plastica subita dal materiale e rela- tive alla densità di dislocazioni presenti: la grandezza che è usualmente considerato a tal fine è l’ampiezza del picco a metà altezza del ciclo medesimo (FWHM). 2.2 La diffrazione dei raggi X per le analisi frattografi- che I dati ottenuti con le misure XRD possono essere utilizza- ti per l’analisi del cedimento dei pezzi sollecitati fatica. Infatti durante la propagazione si hanno, lungo il fronte di propagazione, deformazioni plastiche che lasciano de- formazioni e sforzi residui sulla superficie di frattura, le quali influenzeranno le misure XRD. Per mezzo di un numero sufficiente di misure superficiali e sub- superficiali è possibile determinare la profondità di mate- riale interessato dal passaggio della cricca e mettere quest’ultimo in relazione con i parametri della meccanica della frattura e, quindi, con le condizioni di carico che hanno causato la rottura. Andamenti tipici sono illustrati i n Fig. 4. Si nota che sia considerando l’andamento del FWHM che quello degli sforzi residui è possibile determinare l’estensione della zona plastica. Nella stessa figura si può notare l’andamento di FWHM sotto l’azione di carichi af- faticanti che inducono plasticizzazione ciclica e, conse- guentemente, la formazione di una zona di plasticità ci- clica. L’estensione di questa zona può essere determinata con la XRD solo per materiali addolcenti. Un volta che r pm e r pc sono determinati è possibile metterli in relazione alle grandezze proprie della meccanica della frattura. In- fatti: (6) ( ) ( ) 2 1 2 2 2 2 1 cos 1 σ σ υ ψ φ σ φ σ υ ε φψ + − + + = E sen sen E ( ) 2 1 2 1 σ σ υ ψ σ υ ε φ φψ + − + = E sen E 2 max ⎟ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎜ ⎝ ⎛ = ys pm K r σ α 2 '2 ⎟ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎜ ⎝ ⎛ Δ = ys pc K r σ α Figura 2. Definizione di: (a) piani hkl per grani differenti, (b) sistemi di riferimento principale 1, 2, 3 e degli angoli Φ e Ψ. Figura 3. Tipico aspetto di un picco di diffrazione . o o d d d − = ψ φψ ε

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