Issue 19
L. Susmel et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 19 (2012) 37-50; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.19.04 49 I risultati ottenuti applicando la metodologia ingegneristica proposta in questo paragrafo sono riassunti nei diagrammi di Fig. 8, dove tali diagrammi sono stati ottenuti assumendo, per tutti i materiali, come configurazione di riferimento per il calcolo della costante Q, Eq. (6), quella relativa ad una prova di macro-durezza dove il carico applicato all’indentatore era pari a 490 N. Si può allora concludere questo paragrafo evidenziando come, in base a quanto mostrato dalla Fig. 8, l’approccio proposto, seppure estremamente semplificato, consente di ottenere delle stime della durezza superficiale che sono comunque sufficientemente accurate da un punto di vista ingegneristico e quindi la metodologia di stima sviluppata presenta una indubbia utilità pratica. D ISCUSSIONE l lavoro sintetizzato nel presente articolo si poneva come obbiettivo primario quello di verificare se un approccio elasto-plastico agli elementi finiti fosse in grado di stimare in modo ingegneristicamente accurato la durezza dei materiali metallici convenzionali, e questo sia a livello macroscopico, che a livello microscopico, che, infine, a livello nanoscopico. Per verificare validità e accuratezza della metodologia FEM messa a punto, sono state condotte una serie di analisi sperimentali su tre materiali metallici (Al 7075-T6, BS970-En3B e AISI 316L) aventi caratteristiche metallurgiche alquanto diverse. Una tale investigazione sperimentale ha inizialmente evidenziato, confermando, d’altra parte, quanto già noto in letteratura, come il valore della durezza Vickers (o più ingenerale della durezza misurata a mezzo di un indentatore) tenda a crescere al diminuire della dimensione della impronta: per uno stesso materiale, i valori di durezza misurati in campo nanoscopico sono risultati anche superiori del 100% ai valori determinati in campo macroscopico. Una tale diversità può essere imputata al diverso ruolo giocato dalla dimensione del grano sul comportamento meccanico globale del materiale, ovvero al diverso ruolo giocato dalla reale morfologia del materiale sul valore della durezza misurata al diminuire delle dimensioni della superficie indentata. In particolare, e come noto, per i materiali metallici valgono, in campo macroscopico, le ipotesi di omogeneità e di isotropia di compenso grazie alle quali l’influenza della grana cristallina può essere totalmente trascurata nel modellare i fenomeni in presenza di grandi deformazioni plastiche: in questo ambito la meccanica del continuo risulta idonea a descrivere il fenomeno investigato, ovvero analisi FEM condotte in campo elasto-plastico, ipotizzando un incrudimento di tipo isotropico, consentono di stimare con estrema accuratezza il valore dell’area della superficie indentata. Al contrario, al diminuire della dimensione della superficie indentata, il ruolo della struttura cristallina diventa sempre più importante, tanto che quando l’area dell’impronta diventa confrontabile con la dimensione media del grano, la meccanica del continuo, applicata con metodologie FEM, non sembra essere più in grado di modellare correttamente il fenomeno investigato. Nel tentativo di verificare se esisteva comunque la possibilità di estendere l’uso della meccanica del continuo anche al campo nanoscopico, si è provato a stimare la durezza superficiale dell’AISI 316L anche utilizzando per la calibrazione dei modelli FEM la curva monotona ottenuta testando provini aventi larghezza della zona calibra dell’ordine dei 100 µ m. Questo tentativo prendeva come spunto di partenza l’idea che un approccio agli elementi finiti potesse essere esteso con successo anche a livello nanoscopico, ammesso che per la sua calibrazione si potessero utilizzare proprietà del materiale il più possibile vicine a quelle relative al singolo grano. Purtroppo, però, tale tentativo, anche se molto interessante dal punto di vista filosofico/teorico, non ha dato i risultati sperati. A parere degli scriventi, il motivo di un tale insuccesso può essere ricondotto principalmente al fatto che il comportamento meccanico di un agglomerato cristallino, anche se formato da pochi grani, differisce comunque dal comportamento meccanico di un singolo grano. In più, è evidente che quando l’area della superficie indentata risulta essere inferiore alla dimensione del grano le reali proprietà meccaniche/metallurgiche del grano stesso influenzano necessariamente in modo determinante il valore misurato della durezza. A questo livello, l’orientazione delle direzioni preferenziali di scorrimento delle dislocazioni, nonché la possibilità che hanno tali dislocazioni di muoversi in presenza di fenomeni di deformazione così spinti e localizzati, influenza in modo decisivo le caratteristiche dell’impronta generata dall’indentatore. Alla luce di queste considerazioni si comprende il motivo per cui la teoria dello strain gradient plasticity [10] sia oggi quella maggiormente utilizzata per spiegare in modo rigoroso e scientifico i fenomeni investigati nel presente lavoro: a livello nanoscopico, il moto delle dislocazioni in presenza di forti gradienti di deformazione gioca il ruolo più importante nella definizione della durezza, quando questa è misurata a mezzo di un indentatore. Nonostante questa convinzione però, nel presente lavoro si è comunque tentato di formalizzare una regola pratica, basata sul comportamento plastico del materiale in campo macroscopico, nel tentativo di proporre uno strumento ingegneristico che consentisse di stimare la durezza, I
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