Issue 12

A. Risitano et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 12 (2010) 88-99; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.12.09 97 significativi. Tale osservazione conferma quanto riportato da Iqban Rasool Memon ed Al. [12], per cui, se si inverte l’ampiezza di carichi affaticanti (superiori al limite di fatica) la regola del Miner per la valutazione del danno non può essere usata. L’applicazione di quanto detto alla tipologia di carichi adottati nel lavoro di Iqban Rasool Memon, porterebbe in un senso (carichi crescenti) ad un valore di danno pari a: D M = n 1 /N 1 +n 2 /N 2 ed ad un valore, in termini energetici, pari a: D I   I /   n 1  T* 1 /N 1  T 1 +n 2  T* 2 / N 2  T 2 Se l’ampiezza del primo carico fosse di poco superiore al limite di fatica ed il secondo fosse di parecchio più elevato, si avrebbe  T* 1 =  T 1 ed, essendo stato il materiale poco danneggiato,  T* 2   T 2 e quindi D M  D I . Applicando i carichi in senso opposto (carichi decrescenti) si avrebbe  T* 2 =  T 2 ma una  T* 1 completamente diversa e maggiore da  T 1 (il materiale è stato danneggiato). Di conseguenza sarebbe D M  n 2 /N 2 + n 1 /N 1 pari a quello di prima (carichi crescenti) ma D I   I /   n 2  T* 2 / N 2  T 2 n 1 +  T* 1 /N 1  T 1 decisamente più alto. Come già riferito in [49] vale la linearità del danno e la curva a tempo si può ottenere, una volta determinato il limite di fatica, tracciando nel diagramma semilogartmico (σ logN) la retta che congiunge il punto di coordinate σ 0 e 2x10 6 Cicli, con il punto di ascisse 0 e ordinata σ s (tensione di snervamento). Tale curva, tuttavia, non sempre coincide con quella tracciata secondo le indicazioni del Miner, specialmente quando la storia di carico è tale che tensioni, apparentemente sotto il limite di fatica del materiale, diventano affaticanti per il danno prodotto da uno di essi (magari ad ampiezza elevata) applicato in precedenza. Il diagramma di Fig. 11, in cui sono stati riportati gli andamenti delle temperature a parità di tensione applicata nelle successive serie di carico, mette in evidenza questo aspetto. Se si facesse riferimento al limite di fatica del materiale non danneggiato σ 0 = 251,8 N/mm 2 , in tutta la storia di carichi applicati solo con i carichi 23 e 26 kN si raggiungerebbero tensioni affaticanti (carico/area sezione provino) pari a 255,6 e 288,9 N/PP In realtà, dopo l’applicazione della prima serie, che riporta un incremento di temperatura già per 17 kN e, di conseguenza, ad un limite di fatica differente (in Fig. 12, la curva “base” è riferita alla curva relativa ai provini della Fase 1), si avrebbero, per i carichi successivi (della stessa serie), gradi di danneggiamento sempre maggiori. Questo è ancora più accentuato dai salti di temperatura, sempre più ampi a parità di tensione applicata per serie successive (Fig. 11 ). In altre parole, con l’applicazione della successiva serie (II serie di carichi), la riduzione del limite di fatica, anche per l’effetto della prima serie, amplifica il fenomeno termico. L’esame della figura evidenzia ancora come, all’applicazione della III serie di carichi anche quei carichi, che in partenza erano inferiori al limite di fatica del materiale diventino affaticanti ed in grado di contribuire al consumo di energia plastica. I rapporti  T* i /  Ti, derivanti dall’avere messo in gioco parametri energetici, permette di evidenziare e definire il danno cumulativo come rapporto della perdita di energia per ogni ciclo rispetto all’energia limite E c . Quanto precedentemente detto è sintetizzato in Fig. 14 in cui, assieme alla curva di Wöhler tradizionale (per provini lisci), è stata riportata la retta (Miner in figura) che si ottiene attraverso la regola del Miner-Manson dopo l’applicazione delle prime due serie di carichi. Essa, per il fatto che praticamente solo due dei carichi applicati superano il limite di fatica del materiale, si dispone molto vicina alla curva base. Nella stessa figura è riportata la curva di Wöhler (Risitano in figura) definita con il metodo Risitano, ovvero, facendo riferimento al parametro energetico e quindi alla energia persa per ciclo per effetto di ciascuno dei carichi applicati (quelli della seconda serie a partire dal valore di 17 kN provocano danno ed il rapporto del n i /N i va corretto con i rapporti di temperatura  T* i /  Ti). C ONCLUSIONI engono messe in evidenza alcuni aspetti che hanno portato al lavoro degli autori [13] sulla valutazione del danno in materiali o componenti meccanici. Utilizzando gli stessi dati sperimentali di [13] sono state fatte alcune considerazioni sulla possibilità della valutazione del danno sulla base di parametri che tengano conto della energia persa per ciclo. I risultati delle prove di fatica, effettuate su provini di acciaio C40 danneggiati con applicazioni di serie di carichi successive e per cui è stata costantemente rilevata la temperatura durante tutta la prova, hanno messo in evidenza quanto segue: 1) Il limite di fatica del materiale, come è ovvio, varia con il grado del danno (energia spesa/energia limite) ed è facilmente rilevabile mediante l’analisi termica sotto carico; 2) la temperatura del punto più caldo della superficie del provino sollecitato a fatica varia per valori di carico uguali V

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