Issue 12

C. Clienti et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 12 (2010) 37-47; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.12.04 44 D EFINIZIONE DELLE MAPPE TERMICHE DI RIFERIMENTO ulla base dei risultati conseguiti, in particolar modo con le campagne di prova sulla seconda campionatura, è possibile definire il set di mappe termiche di riferimento per i controlli di qualità in linea. L’esperienza sperimentale prima riportata ha infatti evidenziato come in seno al componente, testato con sollecitazioni dinamiche di tipo pulsante, non si debbano manifestare riscaldamenti localizzati per treni di carico inferiori a quello corrispondente al carico di fatica. In tal modo, fissato un treno di impulsi di carico di valore inferiore al limite di fatica, nelle condizioni di carico e vincolo del componente esaminato, è possibile determinare la mappa termica di riferimento. Per i componenti provati nel presente caso (Fig. 14) un componente passerebbe il controllo di qualità se, per una prova con le caratteristiche indicate in Tab. 1, la variazione di temperatura fosse del tipo di quella di riferimento e lo scarto fra valore misurato e valore di riferimento non superasse 0,2°C. Il sistema potrebbe essere realizzato in automatico utilizzando sistemi di sottrazione d’immagini (immagine di prova meno mappa di riferimento) con valutazione automatica delle differenze termiche riscontrate. Figura 14 : Valori di carico e variazione termica accettabili (verde) e non accettabili (rosso). Per valutare in laboratorio l’attendibilità della metodologia, uno dei componenti è stato utilizzato come maschera termica, fornendo l’immagine di riferimento. La procedura è stata sviluppata in due fasi, la prima per evidenziare la possibilità di valutare il superamento del limite di fatica mediante analisi delle variazioni termiche, la seconda per verificare come un difetto possa essere rilevato dall’indagine termografica. Per la prima fase è stato scelto un livello di carico significativamente più basso del limite di fatica, per il quale si mostrava sostanziale uniformità termica tra la zona di saldatura e la zona di appoggio. Il componente è stato prima testato ad un livello di carico (1 kN) inferiore al limite di fatica (1.6 kN), verificando che si trovava ancora in condizioni termoelastiche (  T negative), quindi è stato stressato a livelli di carico superiori al limite di fatica (2 kN e 2.3 kN per 1000 cicli e 2.4 kN per 2000 cicli) in modo da provocare la nucleazione della cricca e verificare la presenza di variazioni termiche crescenti col carico. Dopo ogni ciclo affaticante si è proceduto a verificare che il limite di fatica non fosse sceso sotto il livello di riferimento (1 kN) mediante brevi cicli di carico (2000 o 1000 cicli) in cui si evidenziava ancora un comportamento termoelastico. Successivamente, in relazione alla seconda fase, è stato valutato il nuovo limite di fatica (del componente criccato), abbassando il livello di carico da 1.6 kN a 1.4 kN fino a 1.3 kN, valore per cui l’incremento termico è risultato inferiore a 0.1°C e che si è assunto come nuovo limite di fatica (ovviamente inferiore al precedente a causa della cricca provocata). In questo modo, è stato sperimentalmente dimostrato come il limite di fatica si fosse ridotto e fosse possibile evidenziarlo con la tecnica termografica. Il componente, infine, è stato nuovamente sollecitato a valori elevati (2.6 kN) e nuovamente portato alle condizioni di carico del nuovo limite trovato, mostrando stavolta un incremento termico di oltre 0.2°C nella zona di nucleazione della cricca. In questo modo si è verificato come l’immagine termica mostrasse l’indebolimento del componente a causa della propagazione della cricca. La sequenza di operazioni, per cui la variazione termica è mostrata in Fig. 15, dimostra come la metodologia permetta di valutare se il componente sia in grado di superare il test di qualità e come si possano evidenziare le variazioni del limite di fatica dovute all’affaticamento (o ad una cricca). La Fig. 16 mostra, infine, alcune immagini termiche relative alle varie fasi, ciascuna relativa ad ognuna delle dodici fasi riportate in Fig. 15. Analoghe considerazioni permetterebbero di valutare se un componente sia in grado di resistere ad un definito numero di cicli. L’analisi a vita finita è ovviamente molto più complessa e delicata, ma la metodologia di controllo qualità è analoga: -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 Time [s]  T [°C] 0,4 kN 0,8 kN 1,2 kN 1,6 kN 2,0 kN 2,4 kN 2,8 kN S

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